Nel VII e VIII secolo, il Regno Longobardo si dispiegava attraverso l’Italia in un insieme di ducati autonomi, retti da duchi che malvolentieri si sottomettevano all’autorità centrale del re a Pavia. Quest’ultimo, per mantenere il controllo sui territori, si avvaleva dei gasindi, emissari regi incaricati di amministrare le terre della Corona. I Longobardi, superando le divisioni tipiche delle società barbariche, si organizzavano in una struttura sociale tripartita: gli Arimanni, esclusivamente Longobardi; gli Aldii, semi-liberi italiani impegnati nell’agricoltura; e gli schiavi, dedicati ai lavori più umili.

Le città, ormai ombre del loro passato romano, si mostravano spopolate e circondate da mura antiche. Il commercio era ridotto ai minimi termini, sopravvivendo grazie ad alcune botteghe artigiane e a sporadici mercanti esteri. La vita urbana era segnata dalla scarsità e dalla semplicità, con abitazioni rudimentali e una dieta prevalentemente vegetariana, arricchita occasionalmente da carne suina.

I Longobardi, distinti per le loro tuniche di lana colorata e copricapi caratteristici, si contrapponevano agli italiani, i quali prediligevano indumenti in lino o canapa adatti al lavoro manuale. La nobiltà, sia longobarda che italiana, conservava uno stile vestiario che richiamava le antiche toghe e tuniche romane.

Le campagne, trascurate e divenute selvagge, erano il teatro di villaggi rurali denominati curtes, fulcri dell’economia agricola e pastorale del regno. Questi centri, autarchici e isolati, rappresentavano il cuore pulsante dell’attività produttiva longobarda, in un’epoca in cui le relazioni commerciali a lunga distanza erano praticamente inesistenti.

Nonostante il declino urbano e la vita spartana, i Longobardi contribuirono a un interessante fenomeno di sintesi culturale. L’Editto di Rotari ne è un esempio lampante, testimoniando l’incontro tra le tradizioni giuridiche romane e le nuove influenze barbariche. I monasteri, in particolare, divennero centri di innovazione agricola e tecnica, preservando e trasmettendo il sapere classico e contribuendo alla nascita di una nuova cultura europea medievale.

In questo contesto di transizione e di adattamento, il Regno Longobardo si configura come un laboratorio di cambiamenti sociali, economici e culturali, preludio a quella che sarebbe stata l’evoluzione del Medioevo italiano.